Progetto Nocciola Italia? No grazie

Presentato in Valdarno il progetto della Ferrero Nocciola Italia. Le preoccupazioni di agricoltori e associazioni in una lettera aperta

di Maria Pia Terrosi


Nocciole? Con parsimonia. Dopo aver invaso la Tuscia e la Valdichiana la produzione intensiva di nocciole cerca di approdare anche in Valdarno. Pochi giorni fa nella sala consiliare del Comune di Terranuova Bracciolini la Ferrero,assieme a Confagricoltura e al sindaco di Terranuova Sergio Chienni, ha presentato la sua proposta per sviluppare una nuova filiera della nocciola sul territorio.

Un altro tassello del colossale progetto “Nocciola Italia” avviato dalla multinazionale nel 2018 che complessivamente punta a incrementare di un terzo la superficie italiana coltivata a nocciole. Saranno 22.000 i nuovi ettari da convertire a questa coltivazione. Per arrivare a questi risultati alla Ferrero – che oggi assorbe il 30% della produzione mondiale di nocciole – servono accordi con gli agricoltori che garantiscano alti livelli di produzione.

Nel Valdarno il progetto “Nocciola Italia” sta però suscitando le preoccupazioni di molti agricoltori, associazioni e cittadini che hanno aderito alla lettera aperta “Progetto Nocciola Italia? No grazie” firmata dal sindaco di Loro Ciuffenna, Moreno Botti.

La lettera aperta contro la coltivazione intensiva di nocciole

Prima di tutto – sottolineano i firmatari della lettera aperta – le proposte della multinazionale delle nocciole appaiono in contraddizione con la difesa di valori come la tutela dell’ambiente e della biodiversità. E anche in contraddizione con l’abbandono delle monocolture intensive sostenuti dai Piani di indirizzo territoriale e dai Piani strutturali degli Enti Locali della Regione Toscana.

Quei Piani sottintendono un modello agricolo esattamente opposto a quello adottato nella coltivazione della nocciola richiesta dalla Ferrero in cui si segue una logica “estrattivistica”. I campi diventano delle miniere a cielo aperto con monocolture intensive ad alto impatto ambientale. E con l’impiego di frequenti trattamenti antiparassitari, fungicidi, fertilizzanti e diserbanti.

A queste condizioni è evidente che incrementare la superficie coltivata a nocciole vuol dire aumentare l’utilizzo di fitofarmaci. Cosa che rende un territorio più fragile aggravandone le problematiche ambientali, ma anche sociali ed economiche. Le conseguenze sono già note: maggior inquinamento dell’acqua; impoverimento del suolo; compromissione delle risorse idriche. E ancora perdita di biodiversità; maggiore dipendenza degli agricoltori dalla geopolitica dei prezzi dell’agroindustria. Con conseguente impoverimento economico, culturale e identitario; perdita di attrattiva turistica del territorio.

Nocciole e promesse economiche agli agricoltori

Un’altra perplessità espressa nella lettera riguarda le promesse economiche fatte agli agricoltori. Vengono definite illusorie e formulate approfittando di chi vive in condizioni di precarietà imprenditoriale (ormai purtroppo tipiche del settore). Ed è portato così ad accettare offerte che – facendo bene i conti – si riveleranno onerose e a discapito dei produttori. Con il risultato di trovarsi a distanza di anni con un terreno con scarso valore economico, impoverito da ripetuti trattamenti chimici e che necessita di sempre maggiori quantità di fertilizzanti per essere produttivo.

La salute dei cittadini e la coltivazione di nocciole

Così come sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze sulla salute dei cittadini. Secondo gli ultimi dati contenuti nel Registro tumori della provincia di Viterbo (2019) l’incidenza di melanomi cutanei e leucemie nella provincia risulta “essere significativamente superiore alla media italiana. Nel primo caso, negli anni 2008-2013 si è registrato un tasso standardizzato di 24,6 casi ogni 100 mila abitanti negli uomini e di 19,9 nelle femmine”. Per un totale di 21,8, a fronte di una media nazionale inferiore a 18 casi negli uomini e a 15 nelle donne. Analogamente, per quanto riguarda le leucemiesi è registrato un tasso standardizzato del 28,8 ogni 100 mila abitanti (37,8 negli uomini e 22,1 nelle donne), contro una media nazionale di gran lunga inferiore.

In particolare è emersa la maggiore incidenza di melanomi cutanei e leucemie con l’utilizzo di pesticidi, particolarmente importante soprattutto nell’area dei Cimini dove più sviluppata è la nocciolicoltura. “Ci sono studi scientifici accreditati da diverso tempo che legano il melanoma all’esposizione a pesticidi”, ha ricordato la dottoressa Antonella Litta, membro dell’Isde, l’associazione dei medici per l’ambiente. “In un distretto come il nostro, dove è in forte espansione un tipo di agricoltura che fa uso di queste sostanze, questo dato è sottostimato e quindi serve che vada approfondito”.

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