Impollinatori, la crisi climatica colpisce anche i bombi

I nidi si surriscaldano: è un ulteriore colpo contro gli insetti necessari all’ecosistema dei campi

Ogni giorno arrivano nuove conferme dell’importanza di stabilire un rapporto più sano con la terra e con la ricchezza di vita che ospita. L’agricoltura e l’allevamento intensivi hanno dato un contribuito determinante all’impoverimento del suolo e alla riduzione della biodiversità: il cambiamento di uso dei terreni agricoli e l’abbattimento delle foreste sono infatti responsabili di circa un quarto delle emissioni serra.

È un processo che ha colpito oltretutto specie essenziali per il ciclo agricolo come gli impollinatori. Le api, come provato da un’ampia documentazione scientifica, sono in profonda sofferenza a causa del combinato disposto dell’uso di pesticidi come i neonicotinoidi e della crisi climatica. E adesso si scopre che pure i bombi se la passano male.

In un articolo pubblicato su Frontiers in Bee Science, un gruppo di ricercatori ha studiato la riduzione delle popolazioni di bombi in varie aree. E ne ha tratto una conclusione: l’aumento della temperatura sta rendendo sempre più difficile ai bombi costruire nidi in cui far crescere larve sane. Secondo Peter Kevan dell’università canadese di Guelph, autore principale dell’articolo, se la temperatura del nido supera i 35 gradi l’effetto è disastroso. I bombi in realtà sono buoni costruttori di nidi e hanno una discreta capacità di isolarli dal calore, ma la crisi climatica sta andando troppo veloce e supera le loro capacità di difesa.

È un altro segnale che ci ricorda la necessità di spingere sulla diffusione dell’agricoltura biologica per i due effetti positivi che svolge. Il primo è di dare un importante contributo al taglio delle emissioni di gas serra perché pratiche agricole rispettose dell’ambiente permettono di ridurle. Il secondo effetto positivo è la capacità di conservare la biodiversità e la sostanza organica nel suolo. Ad esempio secondo una ricerca dell’Istituto elvetico Fibl che ha condotto per 21 anni un confronto tra agricoltura chimica e biodinamica, da questo punto di vista il metodo biodinamico permette di avere un suolo che ha una percentuale di microrganismi maggiore (tra il 60 e l’85% in più rispetto al sistema convenzionale) e più varia.

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