C’è più plastica nel suolo che nel mare

Suolo e Biodiversità

Lo rivela un report Fao. Ma ricerca, tecnologia e innovazione possono ridurre l’inquinamento del sottosuolo

La salute del suolo viene spesso sottovalutata rispetto a quella dell’aria e dell’acqua, eppure basterebbe ricordare che nel sottosuolo va a finire una quantità di plastica superiore a quella che si trova nei mari. A dirlo sono i dati della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che offrono un quadro complessivo dello stato di salute dei suoli a livello globale e dei potenziali effetti dell’inquinamento in termini di sicurezza alimentare.

La notizia è che a livello globale i suoli non stanno bene. Per puntare la lente su quelli europei, quasi il 70% non gode di buona salute. Uno dei principali fattori a incidere sullo stato di salute dei terreni, in agricoltura, è sicuramente l’uso massiccio di plastica nei campi. Stando al rapporto dell’agenzia dell’Onu sull’intera catena agroalimentare, agricoltura e allevamenti utilizzano quasi un terzo della plastica prodotta per essere utilizzata nel settore agroalimentare. Sono 10,2 milioni di tonnellate annue su un totale di oltre 37 milioni. Si tratta soprattutto di teli in plastica usati per le serre, per la pacciamatura. Un utilizzo che potrebbe passare dai poco più di 6 milioni di tonnellate del 2018 ai quasi 10 milioni nel 2030. Materiale che contamina il sottosuolo, rendendolo meno fertile, più povero di biodiversità, con conseguenze anche sulla qualità del cibo che produce.

Una speranza per cambiare rotta però c’è. Ed è data dall’innovazione che mette a disposizione nuovi materiali, sempre più rispettosi dell’ambiente. Come ad esempio le bioplastiche compostabili utilizzate, anche in Italia, per la pacciamatura. Questi materiali, derivati da fonti biologiche rinnovabili come mais, patate o canna da zucchero, presentano un’opportunità per ridurre la dipendenza dalla plastica tradizionale.

Possono essere usate per coprire il terreno intorno alle colture per proteggere il suolo dall’erosione e prevenirne il degrado. Inoltre, migliorano la ritenzione idrica del terreno, consentendo alle colture di resistere meglio alle condizioni di siccità, uno dei principali effetti dovuti alla crisi climatica.

Ma la vera differenza la fa il loro ciclo di vita. A differenza delle plastiche convenzionali, che possono persistere nel suolo per centinaia di anni, le bioplastiche compostabili si degradano e diventano compost in tempi relativamente brevi. Una soluzione che ridurrebbe significativamente la quantità di microplastiche dannose, già fin troppo presenti nei suoli.