Residui chimici in due frutti su tre

Fungicidi sulle verdure: record per un peperone cinese con 25 residui. Presentato il rapporto di Legambiente “Stop pesticidi”.


Tanti, troppi pericoli nel piatto. Non lascia tranquilli il rapporto di Legambiente presentato durante la giornata di lavori “Agricoltura libera da pesticidi” a cui ha partecipato anche la portavoce di Cambia la Terra, Maria Grazia Mammuccini. Secondo il report “Stop pesticidi”, sulle tavole degli italiani finiscono ancora molti alimenti con residui della chimica di sintesi. Frutta – la più contaminata – e poi verdura ma anche uova: il cibo commercializzato e proveniente da produzioni convenzionali presenta incognite e rischi. Per la salute di chi lo consuma, certo. Ma anche per l’ambiente e perfino per chi semplicemente abita accanto a un campo irrorato da pesticidi.

Secondo scienziati e ambientalisti è dunque giunto il momento di una svolta, di un cambiamento sostanziale delle tecniche di produzione. Lo dimostrano i dati contenuti nel report di Legambiente. Solo il 36% della frutta, ad esempio, è completamente privo di residui. Se allarghiamo lo sguardo al dato medio, riferito a tutti i campioni, lo scenario è meno negativo: il 61% dei campioni analizzati risulta regolare e privo di residui di pesticidi. Un risultato positivo, che da solo però “non basta – dice Legambiente – a far abbassare l’attenzione su quanti e quali residui di prodotti fitosanitari si possono rintracciare negli alimenti e permanere nell’ambiente. A preoccupare non sono tanto i campioni fuorilegge, che non superano l’1,3% del totale, quanto quel 34% di campioni regolari che presentano uno o più residui di pesticidi”. Di fatto, nella maggior parte dei casi i limiti di legge sono rispettati, ma il punto è che questi limiti non tengono conto di molte incognite. In pratica, per le normative vigenti vengono commercializzati alimenti che presentano residui chimici. Così finisce che portiamo a tavola cibo che, erroneamente, crediamo sia privo di sostanze pericolose per la salute. La presenza simultanea di più tracce di pesticidi nello stesso cibo è un motivo di allarme perché il loro effetto combinato può essere esplosivo. Quello del multiresiduo è un problema vero, sottolinea

Legambiente: “La legislazione europea lo considera conforme se ogni singolo livello di residuo non supera il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano”. Dai dati del report si evince che il multiresiduo è più frequente del monoresiduo.

Frutta e pesticidi, il caso fragole

Nella poco invidiabile classifica delle frutta a maggior concentrazione di chimica di sintesi, troviamo pere, pesche e uva da tavola. In generale, e in linea col trend degli anni scorsi, la frutta si conferma la categoria dove si concentra la percentuale maggiore di campioni con uno o più residui. In particolare, il 64% delle pere, il 61% dell’uva da tavola e il 57% delle pesche sono campioni con multiresiduo, seppur entro i limiti fissati dalla legge.

C’è poi l’emblematico caso delle fragole: italiane ed estere, spiccano per un 54% di campioni formalmente regolari con multiresiduo e anche per un 3% di totale irregolarità. Un dato quest’ultimo più alto, quasi del doppio, rispetto alla media generale dei campioni di frutta irregolari (pari all’1,7%). Alcuni campioni di fragole, anche di provenienza italiana, arrivano ad avere fino a 9 residui contemporaneamente (situazione analoga per l’uva da tavola, che arriva ad avere 6 residui).

C’è poi tutta la questione legata alla frutta proveniente dall’estero. In questo caso, la situazione appare ancor più compromessa. Solo il 26% dei campioni risulta priva di residui. Oltre il 70% è regolare con almeno un residuo e il 3% è totalmente fuorilegge. Un dato significato

se si considera che i campioni di papaya sono risultati tutti irregolari per il superamento del limite massimo consentito del fungicida carbendazim.

Verdura e pesticidi, quali sono i risultati?

Per i campioni di verdura il quadro è contraddittorio: da un lato c’è da registrare un dato positivo, indicato dal 64% di campioni regolari senza alcun residuo, e dall’altro una percentuale significativa di irregolarità (pari all’1,8%) con punte notevoli di sforamento in alcuni prodotti, come l’8% di peperoni, il 5% degli ortaggi da fusto e oltre il 2% dei legumi. Ad accomunare la gran parte dei casi di irregolarità è il superamento dei limiti massimi di concentrazione consentiti per i fungicidi, tra cui il più ricorrente è il boscalid.

Inoltre, alcuni campioni di pomodori provenienti da Sicilia e Lazio arrivano ad avere 6 residui simultaneamente, così come un campione di lattuga del Lazio che ne presenta 8. Se lo scorso anno era un campione di foglie di tè verde, di origine cinese, a contenere il più alto numero di pesticidi, ben 21, quest’anno il primato è stato conquistato da un peperone, di provenienza cinese, con 25 residui di pesticidi. Al secondo posto c’è un campione di pepe, che proviene dal Vietnam, con 12 residui. Va detto inoltre che in alcuni di questi Paesi, tra cui Vietnam, India o Cina, sono ammessi principi attivi e concentrazioni di residui che non trovano, ormai da tempo, corrispondenza nella normativa europea.

Quali sono i pesticidi più diffusi nei campioni alimentari?

Si tratta in prevalenza di fungicidi e insetticidi, in particolare: boscalid, chlorpyrifos, fludioxonil, metalaxil e imidacloprid. Prodotti utilizzati in campo per la difesa delle piante. Nell’ordine di frequenza

nei campioni ritroviamo: il boscalid, il chlorpyrifos e il fludioxonil, tra l’altro spesso applicato assieme al cyprodinil. Al quarto e quinto posto troviamo il metalaxil e il captan, entrambi fungicidi, mentre in sesta posizione l’imidacloprid, insetticida neonicotinoide, di cui è entrato in vigore il divieto di utilizzo a partire dal 2019.

Il caso uova, contaminato il 5%

Passando ai prodotti di origine animale, 11 campioni di uova italiane (il 5% del totale indagato) risultano contaminati dall’insetticida fipronil. Si tratta di un dato che rientra nella più ampia indagine europea maturata nell’estate del 2017 e che ha portato alla scoperta di 600 campioni di uova irregolari per la presenza dell’insetticida. Nell’ultima relazione del sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi, la tipologia di rischio per i prodotti italiani è abbastanza eterogenea, ma emerge che i contaminanti chimici più frequentemente notificati sono le micotossine e i residui di fitofarmaci e, a questo proposito, le irregolarità sono attribuite alla contaminazione da fipronil di uova e ovoprodotti.

Pesticidi, guai anche per l’ambiente

Nel rapporto Legambiente vengono incrociati i dati Ispra sui residui nelle acque italiane con quelli ritrovati negli alimenti, declinandoli per regione di provenienza. In alcuni casi è possibile individuare un perfect match: i residui di prodotti fitosanitari che si ritrovano sull’alimento si rinvengono anche nelle acque superficiali e sotterranee. L’evidenza si è avuta ad esempio per l’uva da tavola della Puglia e per le mele del Trentino Alto Adige. In quest’ultimo caso si è riscontata un’evidente contaminazione da fitofarmaci, contaminazione confermata dal ritrovamento di tracce di queste sostanze nel miele, nei ghiacciai, nelle urine degli abitanti trentini.

I pomodorini di Sicilia e l’inquinamento delle acque

Con oltre 150 mila tonnellate di pomodori prodotti nel 2017, la Sicilia è la regione che vanta la più alta produzione dell’oro rosso. La coltura del pomodoro in serra è particolarmente diffusa nell’isola, con oltre 3 mila ettari dedicati e concentrati nella provincia di Ragusa. Una vocazione territoriale che oggi si trova a fare i conti con la minaccia della perdita di fertilità del suolo, complice lo stesso sistema di produzione che dà poco spazio a metodi di produzioni in linea con la tutela dell’ecosistema. La Sicilia è la regione in cui, secondo i dati di Ispra, si riscontra il maggior numero di sostanze chimiche nelle acque (superficiali e sotterranee). Non è un caso che le stazioni in cui sono state rilevate più sostanze attive contemporaneamente si concentrino essenzialmente in provincia di Ragusa.

In base ai dati ricevuti sui residui di pesticidi nei campioni di pomodoro siciliani, si conferma la presenza diffusa di boscalid, cyprodinil, metalaxyl e metalaxil-metile e spinosad (comprensivo di spinosina A e D). Sono sostanze, eccetto lo spinosad, che l’Ispra ha rintracciato anche nei punti di monitoraggio delle acque superficiali nel corso delle ultime indagini. In particolare, il boscalid (fungicida) nel 38% dei punti, il cyprodinil (fungicida) nel 30% e il metalaxyl (fungicida) nel 62% dei punti. A questo poi si aggiunge l’imidacloprid (insetticida) rintracciato nel 68% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 45% di quelle sotterranee.

La mappa della desertificazione dei suoli in Sicilia mostra un rischio elevato perfettamente coincidente con le zone costiere di Siracusa e Ragusa, aree in cui viene coltivato il pomodoro in serra. Produzione intensive e orientate alla massima resa possono compromettere nell’arco di pochi anni i suoli, la biodiversità genetica e gli habitat.

Il problema delle monocolture

In generale le zone di monocoltura possono mettere a rischio il futuro di interi territori e il benessere dei cittadini che vi risiedono. Non c’è alcun dubbio che, ad esempio, il vino italiano sia uno dei prodotti agricoli che si si sono affermati a livello globale, creando ricchezza per i produttori e anche per le economie dei territori. Ma in Veneto “la monocoltura del prosecco ha indotto a coltivare ogni terra disponibile, dalle colline ai centri abitati, determinando problemi di inquinamento delle falde e rischi per salute degli abitanti che vivono in prossimità delle aree soggette a regolari irrorazioni di pesticidi. Una situazione questa che si irradia anche al Friuli-Venezia Giulia”.

Nel Lazio e in particolare a nord di Roma e nella Tuscia “si assiste da anni alla diffusione di coltivazioni intensive di nocciole, sostenuta e promossa anche da contributi pubblici e da orientamenti produttivi poco sensibili alle caratteristiche dei territori e alle colture tipiche. E così centinaia di ettari di noccioleti sono impiantati in aree non vocate, che impongono irrigazioni continue con conseguente depauperamento delle falde. Queste enormi estensioni stanno trasformando ambiente ed economia, mettendo a rischio la piccola agricoltura e il valore del nocciolo quale prodotto tipico. È necessario che il valore delle tipicità di produzioni, sostenibilità ambientale e diversità biologica sia invece incoraggiato e posto come base dei finanziamenti pubblici”. È grazie alle buone pratiche agroecologiche e alla sinergia tra produzione, territorio e comunità che si crea valore economico collettivo.

I pesticidi contraffatti rappresentano circa il 10% del mercato europeo

I pesticidi contraffatti rappresentano circa il 10% del mercato europeo. Il dato emerge da uno studio della direzione generale Salute e alimentazione (Sante) della Commissione europea, che evidenzia un aumento del commercio di prodotti fitosanitari illegali e contraffatti nel corso degli anni. Uno dei mercati illegali più importanti è la Cina e, in misura più ridotta, India, Malesia, Indonesia, Turchia e Ucraina.

Il commercio parallelo di prodotti fitosanitari è un problema abbastanza recente e complesso, dice il rapporto “Stop Pesticidi”. False dichiarazioni o uso di falsi codici identificativi dei prodotti contribuiscono a distorcere le regole di trasparenza del commercio, ingannando l’utilizzatore finale del prodotto e cercando di sviare i controlli. La contraffazione in questo settore provoca per l’economia dell’Europa una perdita in termini di vendite pari a 2,8 miliardi di euro, che, a sua volta, comporta la perdita di 11.700 posti di lavoro. La stessa industria perde circa 1,3 miliardi di euro all’anno a causa della presenza di pesticidi contraffatti nel mercato. In Italia la perdita di vendite è di circa 200 milioni di euro, collocandosi dopo Germania e Francia. A questa poi andrebbero sommati tutti gli altri costi indiretti.

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