Il Regolamento Ue mette a rischio agricoltori e consumatori bio

Eliminate a livello europeo le soglie per i residui di fitofarmaci, che invece in Italia (fortunatamente) continuano a essere valide. A pagare per la sicurezza saranno come sempre i coltivatori bio, non chi usa pesticidi.

di Simonetta Lombardo


Arrivano le nuove norme europee per il bio, in discussione da circa quattro anni, con una novità che rischia di oscurare le conferme positive che pure ci sono per agricoltori e consumatori. Rispetto al testo di riforma varato dalla Commissione il Regolamento approvato giovedì 19 aprile dal Parlamento Europeo elimina le soglie massime di residui di fitofarmaci nei prodotti bio, che oggi in Italia sono fissate a livelli molto vicini alla capacità strumentare di rilevare tracce di inquinanti.

 

Non prevedere nessuna soglia per i residui da pesticidi lasciando di fatto agli Stati la possibilità di mantenere soglie anche poco restrittive di fitofarmaci va nella direzione opposta rispetto alle esigenze dei consumatori che sempre di più chiedono un cibo senza pesticidi. Allo stesso tempo sarà sempre a carico dei coltivatori bio applicare le misure per evitare la contaminazione da pesticidi chimici o fertilizzanti sintetici a causa della vicinanza a colture di tipo convenzionale. Così si penalizzano contemporaneamente i cittadini e gli agricoltori bio invece di porre le necessarie limitazioni a chi fa uso di pesticidi di sintesi chimicadice Maria Grazia Mammuccini, del Comitato dei garanti di Cambia la Terra e della direzione di FederBio. “Se un agricoltore bio, per cause indipendenti dalla sua volontà, viene inquinato dal vicino che usa i pesticidi, risarcirlo deve essere a carico dell’agricoltura convenzionale, con norme e strumenti adeguati e in grado di rispondere al principio che ‘chi inquina paga’. Certo non è abbassando la qualità dei prodotti bio che si supera il problema. La Commissione e l’europarlamento hanno perso l’occasione per fare la cosa giusta: far pagare chi inquina, come diciamo ormai da decenni”.

 

Il biologico italiano ha normative ben più restrittive, che quindi non verranno cambiate dalla Direttiva Europea, “ma il messaggio che si manda non è certo quello che serve per il biologico proprio in una fase come questa di grande crescita”, ribadisce Mammuccini. E di fatto si crea una situazione di concorrenza sleale tra produttori biologici dei diversi paesi europei nella quale i nostri agricoltori dovranno (fortunatamente) rispettare regole più restrittive per avere il marchio biologico sulla loro produzione.

 

Per il resto  la nuova normativa europea non prevede cambiamenti significativi rispetto alla vecchia, ma sostanziali conferme: nelle aziende biologiche si continuerà a non poter utilizzare fertilizzanti, diserbanti, pesticidi e altre sostanze di sintesi: continuerà la rigorosa esclusione degli OGM e della clonazione dal processo di produzione; rimarranno le strette norme in materia di allevamento; nella trasformazione dei prodotti non si ricorrerà a coloranti, conservanti, esaltatori di sapidità e altri additivi.

Il nuovo Regolamento prevede controlli più severi, svolti almeno una volta all’anno per tutti gli operatori coinvolti nella catena di produzione (agricoltori, allevatori, responsabili della lavorazione, commercianti, importatori). I controlli si riducono a una volta ogni due anni in caso nessuna infrazione venga riscontrata per tre anni consecutivi. Tutti i prodotti importati da paesi extra Ue dovranno rispettare gli standard europei. Le attuali norme in materia di “equivalenza”, che impongono ai paesi terzi di conformarsi a norme simili ma non identiche, saranno eliminate entro cinque anni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento. Per aumentare la produzione bio nella Ue, si punta a incrementare l’offerta di semi biologici per soddisfare i bisogni degli agricoltori. Le deroghe che permettono l’utilizzo di semi convenzionali nella produzione biologica saranno eliminati entro il 2035.

Inoltre, il nuovo regolamento – approvato con una decisa maggioranza di 466 voti a favore, 124 contrari e 50 astensioni dopo quattro anni di trattative – riconosce ampiamente il  fatto che “la produzione biologica esplica una duplice funzione sociale, provvedendo, da un lato, a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici da parte dei consumatori e, dall’altro, fornendo al pubblico beni che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale”, come riconosce in una nota il presidente di FederBio Paolo Carnemolla, pur confermando un giudizio sostanzialmente negativo sul Regolamento. Per Carnemolla l’Europarlamento si è limitato a ratificare “il testo su cui s’era raggiunto l’accordo di massima tra le tre istituzioni nel novembre scorso” e, aggiunge, “nonostante un giudizio che nel complesso confermiamo negativo, già allora avevamo riconosciuto lo sforzo compiuto dalle diverse parti in causa per migliorare il pessimo testo iniziale della Commissione. Sono state tenute in considerazione alcune delle richieste dei produttori biologici, tra queste la possibilità della certificazione di gruppo per le piccole aziende agricole riunite in cooperative e organizzazioni locali, strumenti per garantire un quadro di controllo e di garanzie anche sui prodotti importati dai Paesi extra europei. Lo sviluppo del settore biologico deve ora diventare una priorità delle politiche europee e nazionali, a partire dalle programmazioni regionali dei Piani di sviluppo rurale agli acquisti verdi della pubblica amministrazione”.

Anche per Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione agricoltura dell’Europarlamento, “l’esito dei negoziati per dare nuove regole alla produzione biologica in Europa rappresenta un‘occasione persa. Per noi, tuttavia, la sfida di replicare o avvicinare il più possibile il sistema europeo al modello biologico di alta qualità e sostenibilità italiano resta aperta. Il punto cruciale negativo – puntualizza De Castro – è aver eliminato completamente le soglie per i residui di fitofarmaci. Che differenza c’è con l’agricoltura convenzionale” si chiede polemicamente l’eurodeputato che intervenendo al dibattito in Plenaria aveva chiesto di seguire la legislazione più stringente in vigore in Italia al fine “di garantire una concorrenza leale per i produttori e gli operatori del settore, di prevenire le frodi e migliorare la fiducia dei consumatori. L’accordo finale rappresenta un compromesso al ribasso”.

Il testo concordato dovrà essere formalmente approvato dal Consiglio Ue prima che possa essere applicato. Dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2021. Quattro anni dopo l’entrata in vigore del regolamento, Bruxelles valuterà l’efficacia delle norme europee contro la contaminazione e le soglie nazionali e, se necessario, elaborerà un progetto di legge per armonizzarle. Di fatto, la conclusione che sembra più appropriata per i consumatori è: consumare prodotti biologici italiani è meglio.

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