Salute: i pesticidi ci cambiano gli ormoni

I criteri appena adottati dall’Unione europea sui perturbatori endocrini non garantiscono un serio livello di protezione della salute umana e dell’ambiente perché non rispondono pienamente alla logica di prevenzione del rischio e al principio di precauzione

Allarme endocrin disruptors, una categoria di sostanze chimiche più volte finita sui giornali per gli effetti devastanti sulla capacità riproduttiva e sull’identità sessuale di grandi mammiferi come l’orso polare: questo simbolo della resistenza della vita in ambienti estremi si ritrova assediato non solo dal ritiro della criosfera sotto la spinta del cambiamento climatico, ma anche dall’avanzata dell’inquinamento chimico sotto la spinta di norme poco attente alla sicurezza ambientale e sanitaria. Sanitaria perché la minaccia rappresentata dai Pops (Persistent Organic Pollutants) riguarda tutti gli animali al vertice della catena alimentare. A partire dagli esseri umani.

Il tema torna d’attualità perché lo scorso 4 luglio lo Standing committee on plants, animals, food and feed, sezione Pesticides/Legislation, ha approvato i criteri per identificare tra le sostanze presenti nei pesticidi e nei biocidi quelle in grado di interferire col sistema ormonale dell’uomo e degli organismi non bersaglio e di causare patologie anche gravi. I paesi che hanno votato a favore della proposta della Commissione Ue sono 21 su 28. A sorpresa, ha votato a favore anche la Francia, sebbene in campagna elettorale il presidente Macron avesse assunto una posizione fortemente critica nei confronti della proposta della Commissione Ue.

In base al testo approvato sono interferenti endocrini (Endocrine-Disrupting Chemicals, EDC) solo quelli per cui è provato scientificamente il rapporto di causalità tra l’esposizione alla sostanza e il danno (la malattia). Il che significa che restano escluse tutte le sostanze solo sospettate di essere nocive, con il rischio di continuare l’esposizione per lungo tempo prima che si raggiunga la prova della loro dannosità. Sconfessato dunque il principio di precauzione, per il quale, al contrario, dovrebbero essere bandite anche sostanze presunte nocive.

Un comitato di esperti dell’ECHA (Agenzia per le sostanze chimiche) e dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) dovrà preparare una linea guida dettagliata che dovrà essere seguita dai titolari dei dossier di biocidi e agrofarmaci per dimostrare che il loro prodotto non ha le infauste caratteristiche di perturbatore endocrino.
Secondo la definizione dell’Oms infatti “un perturbatore endocrino è una sostanza esogena o una miscela che altera le funzioni del sistema endocrino (ormonale) e di conseguenza causa effetti indesiderati sulla salute di un organismo vivente, la sua progenie e la popolazione o suoi sottogruppi”.
Tra i danni che questi agenti possono causare, interferendo anche con il ciclo degli ormoni naturali, si annoverano patologie riproduttive (infertilità, abortività, endometriosi), disturbi comportamentali nell’infanzia e forse anche diabete e alcuni tipi di cancro (mammella, testicolo).

Secondo parte del mondo scientifico, organizzazioni ambientaliste e dei consumatori, i criteri appena adottati sono insufficienti a garantire un serio livello di protezione della salute umana e dell’ambiente. Richiedono infatti un onere di prova molto elevato, che rende di fatto difficile l’identificazione delle sostanze come perturbatori endocrini e rischia di provocare lunghi ritardi. In pratica, secondo il testo votato, condizione per l’identificazione di un perturbatore endocrino è che gli effetti dannosi siano “provati” attraverso un nesso di causalità tra il modo di agire della sostanza e gli effetti avversi osservati. E parlare di prova fa intendere che saranno escluse le sostanze che si presume o si sospetti possano interferire con lo sviluppo ormonale. Inoltre, l’esenzione proposta per taluni pesticidi e biocidi comprometterebbe fortemente l’obiettivo della legislazione europea di eliminare l’uso degli interferenti endocrini.
Infine, i criteri contraddicono l’impegno dell’Ue di minimizzazione i rischi di esposizione alle sostanze tossiche.

Insomma, i criteri adottati (e che saranno la base del regolamento europeo in materia) non rispondono affatto alla logica di prevenzione del rischio e al principio di precauzione che meglio avrebbero garantito i cittadini europei. La proposta della Commissione Ue dovrà essere ora discussa dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

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