Con una popolazione mondiale in continua crescita, la necessità di produrre cibo in modo più efficiente e rispettoso dell’ambiente è diventata fondamentale. Per questo gli studi sull’agricoltura biologica sono sempre più importanti. Come quello dell’Università di Bonn, appena pubblicato, sulla coltivazione dell’orzo. Lo studio, durato oltre vent’anni, dimostra come l’adattamento genetico del cereale in campi biologici produca una selezione più eterogenea e quindi più resiliente anche ai cambiamenti climatici rispetto alla coltura convenzionale.
A partire dagli anni 90, con a capo Jens Leon, docente all’Università tedesca, i ricercatori hanno avviato un esperimento a lungo termine per comprendere meglio come l’orzo si adatta ai sistemi agricoli biologici e convenzionali. Utilizzando una popolazione eterogenea di orzo, gli scienziati hanno seminato due campi distinti: uno in un ambiente biologico e l’altro in un ambiente convenzionale.
Dopo ventitré generazioni, sono stati sequenziati interi genomi delle piante per identificare i cambiamenti nella frequenza allelica, ovvero la variazione delle diverse versioni di geni specifici. Questo studio ha rivelato che le popolazioni di orzo coltivate in ambiente biologico mostrano una maggiore diversità genetica rispetto a quelle coltivate in modo convenzionale. Le colture biologiche godono infatti di un ambiente più eterogeneo, con una biodiversità più varia, rispetto a quello più uniforme del convenzionale.
Ma perché si è partiti proprio dall’orzo? Come tutti i cereali, anche l’orzo è legato all’evoluzione dell’uomo che nel corso dei secoli, migrando, lo ha portato in terre lontane, con caratteristiche ambientali diverse, dove ha sviluppato nuove caratteristiche genetiche che gli hanno permesso di rigenerarsi. Una mutazione genetica che per molto tempo è stata del tutto naturale. Fino a quando le strategie di selezione delle piante che sono state adottate per aumentare le rese hanno accelerato e modificato drasticamente questo processo, creando le varietà ad alto rendimento, ma spesso a scapito della biodiversità e della sostenibilità ambientale.
La scienza, la ricerca e la conoscenza evolutiva delle piante permettono ora di correggere quell’errore ottenendo semi sempre più adatti al metodo biologico, e quindi in grado di dare buone produzioni anche in tempi caratterizzati dall’accelerazione della crisi climatica. Lo stesso studio dimostra come sia utile ottimizzare varietà di semi destinate all’ agricoltura biologica, incrociando anche le selezioni di piante più vecchie o selvatiche.
Oggi, con le sfide climatiche che minacciano il settore agricolo e con la maggiore consapevolezza che un’agricoltura intensiva è la causa delle stesse, il metodo biologico diventa più che mai centrale.