Biologico, la sfida è la Cina

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Si è svolto online venerdì 29 gennaio un webinar sull’internazionalizzazione del biologico made in Italy con un focus specifico: il mercato cinese

Il bio in Cina: quali prospettive per il futuro? Le risposte a questo interrogativo complesso sono state date il 29 gennaio in un webinar promosso da Ita (Italian Trade Agency) – Ice, in collaborazione con FederBio e a cura di Nomisma.

L’Ice è l’agenzia governativa per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. È sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, d’intesa, per le materie di competenza, con il ministero dello Sviluppo Economico. Nomisma è invece una società di consulenza che svolge attività di ricerca e advisory per realtà pubbliche e private nel campo dell’economia reale.

Paolo Carnemolla, segretario generale FederBio, è stato moderatore dell’incontro, introdotto da Carlo Maria Ferro, presidente dell’Agenzia ICE. “L’export – ha spiegato quest’ultimo – può ancora essere un fattore di traino per l’economia italiana, e il mondo del bio, a questo riguardo, già dal 2020 dimostra una capacità di resilienza più elevata rispetto ad altri settori”. L’agroalimentare è infatti uno dei pochi segmenti che ha un segno positivo nell’anno appena passato: “+8%, 2,6 miliardi di euro come valore”. E la Cina “ha un grande rilievo”, sia oggi che, soprattutto, in prospettiva.

Il mercato cinese

“La Cina – ha spiegato Gianpaolo Bruno, Trade Commissioner and Coordinator ICE Agenzia Cina e Mongolia -, nel 2020, è stato l’unico Paese nell’ambito del G20 ad avere un andamento positivo”. E i consumi privati, ovvero quelli delle famiglie, si stima che nel Paese asiatico entro il 2030 cresceranno al ritmo del 5% annuo. Di qui l’interesse, anche per il bio, ma in generale per il made in Italy.
Attualmente la Cina rappresenta il quarto mercato mondiale per il bio (gli Usa sono al primo posto), con un valore di poco più di 8 miliardi di euro: “E’ ancora un mercato di nicchia”, ha aggiunto Bruno, “ma ciò significa che c’è un enorme potenziale da sfruttare”. I produttori “organici”, cioè biologici, in Cina sono ad oggi 6.308.

Nel 2019, il mercato dei prodotti biologici confezionati era di poco superiore all’1% del totale, ma il trend è in crescita – ed è questo che interessa le imprese italiane ed europee. Rispetto alla distribuzione dei prodotti bio, le vendite al dettaglio su internet sono quelle che “registrano crescite molto elevate”. Le opportunità nei prossimi anni possono essere notevoli. Si stima una “crescita, in termini di volume di prodotti acquistati, con un tasso annuale di crescita medio di oltre il 4%”. Ma quanto costano i prodotti bio in Cina? “Dal 50 al 350% in più” rispetto agli alimenti non bio.

Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence & Business Information di Nomisma, ha segnalato il sito Ita.bio, una piattaforma a supporto dello sviluppo strategico del biologico italiano sui mercati internazionali. Un settore che, secondo gli addetti ai lavori, è e può essere un volano per la ripartenza. I numeri parlano chiaro: “Negli ultimi dieci anni il bio italiano è cresciuto del +142% in Italia e del +149% nell’export. Siamo il secondo Paese esportatore di bio nel mondo, dopo gli Stati Uniti”, ha aggiunto Zucconi. Uno dei principali fattori di successo per i prodotti italiani è “l’italianità” stessa: il made in Italy “tira”, interessa, così come un rapporto qualità-prezzo valutato positivamente dai consumatori cinesi.

Evita Gandini, project manager di Nomisma, ha illustrato i risultati di un sondaggio sui consumatori cinesi. “Il marchio DOP/IGP è, per un quarto dei consumatori cinesi che ricercano i prodotti italiani, il primo attributo distintivo del made in Italy, seguito dal marchio biologico”, ha spiegato. Quale è il profilo del consumatore cinese di prodotti bio italiani? Si tratta di una persona più digitalizzata della media del Paese, più giovane, quindi millennials, e con redditi medi-elevati. I prodotti più apprezzati sono latte e derivati e per l’infanzia, il così detto settore del baby food.

Anche il vino bio registra un dato interessante, anche se “solo il 6% delle etichette presenti in Cina sono di origine italiana ma le prospettive sono assolutamente rosee”. E il Covid? Il consumatore cinese, analogamente a quello italiano, pare ora – sempre secondo quanto stimato dal sondaggio, effettuato su persone della middle class – essere ancora più attento alla salute e alla qualità del cibo.

Voci dalla Cina

Han Jin, General Manager di Shanghai Roria Co. Ltd, importatore di prodotti alimentari, ha partecipato – con un video – all’appuntamento, nel panel dedicato alla voce delle imprese cinesi. Raccontando anzi tutto della complessità del suo Paese contraddistinto, tanto per cominciare, da “vari livelli di sviluppo economico”, molto diversi tra loro. Anche in termini di accesso al mercato, “le modalità sono diversificate”. Un’opzione è usare appunto gli importatori locali , come dei “mediatori” che veicolano per le aziende italiane la distribuzione in Cina. Ma non è l’unica possibilità. Dipende dal tipo di investimento che l’impresa italiana decide di fare in Cina, in sintesi.

Sulle opportunità dei prodotti bio, per Jin, la generale stima per il made in Italy è un segnale incoraggiante: “I consumatori cinesi hanno un’ottima opinione dei prodotti italiani, tanto quelli della Francia. Ma investire ancora di più sull’aspetto promozionale – a lungo termine – sarebbe molto importante”, ha continuato. Le procedure per la certificazione biologica sono, secondo l’imprenditore, molto stringenti. Non si può, in pratica, apporre il marchio bio cinese sul marchio italiano, ma c’è un iter ad hoc, che richiede dunque una disponibilità di investimento verso questa ulteriore certificazione.

Shuhuan Feng è una funzionaria dell’International Communication and Cooperation China organic food certification Center (Cofcc), l’organismo di certificazione – con cui tra l’altro FederBio ha siglato un accordo lo scorso anno – del bio in Cina, che dipende dal Ministero dell’Agricoltura. Ha spiegato come funziona il sistema di certificazione del biologico cinese, che prevede tre enti specifici, per l’accreditamento e la verifica dei requisiti. Feng ha poi approfondito le normative e i protocolli attualmente in vigore per il biologico in Cina. La certificazione bio del Cofcc, istituita dal 2002, ha un logo verde e bianco, con due piccole mani a rappresentare lo scambio tra l’uomo e la natura.

L’esperienza delle imprese bio italiane

L’agenzia ICE fornisce un supporto alle aziende italiane, in particolare puntando sull’e-commerce, che “sbarcano” in Cina. “Come Federbio – ha spiegato Carnemolla – abbiamo accompagnato diverse aziende sul mercato cinese”. Tre di queste hanno partecipato all’incontro promosso dalla rete bio.

Jennifer Preziosi, export area manager di Alce Nero, ha raccontato l’esperienza del gruppo di agricoltori, nato nel 1978. Dal 2006 Alce Nero fa parte – al 50% – di una joint venture in Asia, insieme al gruppo Denis. Ed è in Giappone in particolare che questo marchio è diventato leader. In Cina, invece, si avvale di partner locali per logistica, distribuzione e promozione. L’azienda è presente sia sui canali tradizionale che sui social diffusi in Cina, come We Chat, e nelle piattaforme e-commerce più usate. Alce Nero è certificata China Organic dal 2009 e, secondo la sua rappresentante, “il processo di certificazione è stato lungo, costoso e complesso” e riguarda l’intera filiera produttiva, oltre che il sito produttivo.

Le normative cinesi sul bio sembrano dunque più stringenti di quelle europee. Una notizia che può in qualche modo smontare le false credenze, spesso frutto di pregiudizi o stereotipi, su “come funziona” Pechino.

Cristina Rigoni, direttore vendite estero di Rigoni di Asiago, ha spiegato che l’azienda è presente in Cina dal 2015 e si avvale di un distributore locale. Rigoni conferma in questo Paese un trend in crescita per i prodotti più sani da parte dei consumatori di fascia medio-alta e di expat, che vivono nelle grandi città, anche alla luce di vari scandali alimentari negli ultimi anni.

Infine, non per importanza, il vino biologico. È intervenuto alla conferenza Silvano Brescianini, general manager e founding partner di Barone Pizzini, presidente del Consorzio Franciacorta. Nel 2018 il consorzio ha avviato un progetto in Cina, anche se “il vino non è una bevanda tradizionale” nello Stato asiatico. Manca dunque la “cultura del vino”. Inoltre, non è un mercato importante nemmeno per le “bollicine”. Per dare un’idea, il Belgio, ha spiegato Brescianini, consuma più champagne dell’intera Cina. Anche la traduzione dei nomi dei vini “è una scelta strategica”, non semplice. L’Italia del vino bio in Cina, insomma, “non è uno dei player principali”, mentre Australia e Cile hanno accordi e risultati più performanti. La morale? Presentare il vino bio in Cina “è un progetto di lunghissimo periodo”, una sfida per un prodotto in qualche modo “di lusso” per il Paese asiatico. Ma “l’unica cosa certa è che i numeri cresceranno”.

L’incontro è stato chiuso da Anna Flavia Pascarelli, dirigente dell’Ufficio Agroalimentare e Vini dell’ICE. Il bio “è in costante crescita” e “su questi numeri è nata l’esigenza di un desk specifico, che abbiamo avviato” dell’agenzia. “Mai come in un momento come questo l’ausilio di questo strumento permette di incrociare le esigenze delle imprese italiane con quelle dell’estero. L’auspicio è che, se si riesce a completare il lavoro del legislatore sul marchio biologico che possa connettere i prodotti italiani. Questo consentirà al biologico di aggredire gli spazi di mercato disponibili, in Cina e non solo”, ha concluso.

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