L’Earth Day dà un segno alla pandemia

La celebrazione della Giornata della Terra – l’Earth Day – mette in luce, dagli allevamenti intensivi alla deforestazione, le “relazioni pericolose” tra inquinamento e propagazione dei virus

di Barbara Battaglia


Il 22 aprile di ogni anno, dal 1970, le Nazioni Unite celebrano la Giornata della Terra, in inglese Earth Day. Domani sarà dunque il cinquantesimo anniversario di questa ricorrenza, che cade in un momento di emergenza sanitaria senza precedenti. Per celebrarla si terranno iniziative in tutto il mondo: in Italia la maratona multimediale #onepeopleoneplanet proporrà, dalle 8 alle 20 su RaiPlay, una diretta in streaming con approfondimenti, testimonianze, performance artistiche e culturali, con artisti, cantanti, attori, scienziati, giornalisti, rappresentanti istituzionali e gente comune che si alterneranno per lanciare un messaggio “dalla parte del pianeta”.

Una giornata che fa riflettere sui legami tra pandemia e politiche ambientali, dagli stili di consumo dei singoli alle scelte degli industriali, fino alla sostenibilità dei provvedimenti dei legislatori, a livello nazionale e globale.

David Quammen, autore nel 2013 del libro “Spillover – L’evoluzione delle pandemie”, già il 28 gennaio scorso sul New York Times spiegava il ruolo, le responsabilità degli uomini nell’aver reso il coronavirus epidemico: “Invadiamo foreste tropicali e altri paesaggi selvaggi, che ospitano così tante specie di animali e piante – e all’interno di quelle creature, così tanti virus sconosciuti. Tagliamo gli alberi; uccidiamo gli animali o li mettiamo in gabbia e li mandiamo ai mercati. Distruggiamo gli ecosistemi e liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade, hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso lo siamo”.

Earth day, dimostrare l’ovvio

Al di là di qualche eccezione, come i dubbi di Sergio Harari sul Corriere della sera del 20 aprile, si moltiplicano gli studi scientifici, i paper e le prese di posizione che mettono in relazione il dilagare del virus con l’inquinamento e l’eco-insostenibilità del modello di sviluppo attuale.

Ne citiamo solo tre, tra i più recenti:

“L’inquinamento atmosferico può essere considerato un co-fattore di mortalità SARS-CoV-2 nel Nord Italia?” di Edoardo Conticini, Bruno Frediani, Dario Caro, pubblicato su ScienceDirect;

il pluricitato studio dell’università di Harvard, secondo cui “un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine a PM2.5 porta a un grande aumento del tasso di mortalità COVID-19”;

la pubblicazione di due studiosi dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, ISAC-CNR, secondo i quali “è plausibile che la già avvenuta esposizione di lungo periodo all’inquinamento atmosferico possa aumentare la vulnerabilità degli esposti al Covid-19 a contrarre, se contagiati, forme più importanti con prognosi gravi (Contini, D.; Costabile, F. Does Air Pollution Influence COVID-19 Outbreaks?).

L’aiuto degli alberi

Le foreste potrebbero darci una mano se smettessimo di tagliarle: pare assodato che la diminuzione della biodiversità e la deforestazione aumentino il rischio di diffusione di nuovi virus.

E certamente potrebbe darci una mano ricordare quello che siamo, nell’Earth Day come gli altri giorni, durante la pandemia ma soprattutto dopo: “ospiti” della Terra.

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