Se gli agricoltori sono contaminati dai pesticidi a loro insaputa

disinfestazioni in città

Una famiglia di Reggio Emilia si è sottoposta volontariamente a uno screening per monitorare il livello di pesticidi nel proprio organismo.  Ecco i risultati

di Maria Pia Terrosi


Sono gli agricoltori i primi a essere esposti al rischio di contaminazione da pesticidi di sintesi. Può accadere purtroppo al di là delle misure di protezione individuale e delle regole adottate durante i trattamenti in campo.  E spesso senza neppure esserne consapevoli.

Capire con precisione a quali quantità di fitofarmaci sono effettivamente esposti gli agricoltori è stato l’obiettivo di una ricerca dell’associazione Prevenzione Tumori Onlus di Guastalla “Screening RE.P.-CO.B.RA – Residui di Pesticidi nei Coltivatori della Bassa Reggiana”, condotta da Mario Franzini, Olinto Bonori e  Giulia Nasi.  Un’indagine che per l’esiguità del numero dei soggetti coinvolti  – 4 persone –  non ha ovviamente pretese di scientificità, ma vuole essere uno spunto per favorire riflessioni utili.

Lo studio che si è svolto nel 2018 ha coinvolto per alcuni mesi una famiglia di agricoltori – padre, madre e due figlie – che coltiva un frutteto ad alta densità di circa 7 ettari nella provincia di Reggio Emilia,  monitorandone il livello di esposizione ad alcuni pesticidi.

Ogni componente della famiglia è stato sottoposto a screening: un primo dato è stato raccolto prima dell’inizio dei trattamenti con pesticidi nel frutteto, allo scopo di determinare l’eventuale presenza di residui di pesticidi nelle urine in assenza di esposizione recente. In seguito, in occasione di ogni trattamento, sono stati prelevati campioni di urina da ciascun componente della famiglia, sia prima che dopo il trattamento e a distanza di 12 e 24 ore.

Ecco i pesticidi evidenziati dalle analisi

Cinque i pesticidi ricercati: tre insetticidi (imidachloprid, chlorpyrifos, permetrina) e due diserbanti (Mcpa e glifosato). Inoltre per imidachloprid, chlorpyrifos e piretroidi sono stati ricercati anche i metaboliti urinari.

Il dato più rilevante e inaspettato emerso dallo screening riguarda il tricloridrossipiridinolo, principale metabolita del chlorpyrifos. Nel capofamiglia – peraltro l’unico a eseguire trattamenti nel frutteto – la concentrazione del Tcpyr è stata rilevata a livelli molto elevati e persistenti nel tempo, mentre è risultata nei limiti negli altri componenti. In occasione del secondo trattamento con chlorpyrifos del luglio 2018, le concentrazioni del Tcpyr nel capofamiglia sono risultate particolarmente elevate: 164,2 μg/L a distanza di 12 ore, circa 14 volte il valore limite fissato a 11,3 μg/L. Le concentrazioni sono rimaste significative per un’intera settimana. Anche a controlli successivi sono risultati livelli elevati di tcpyr: a distanza di un mese dall’ultimo trattamento avvenuto a luglio si è riscontrata una concentrazione di 57,3 μg/L . Oltre quattro mesi dopo – a dicembre –  era presente un valore doppio (22 μg/9L) rispetto al limite.

Glifosato, diversi i risultati emersi

Diversi invece i risultati emersi dall’indagine per il glifosato. la concentrazione di glifosato è risultata per tutti i componenti della famiglia entro i limiti, anche se il padre ha evidenziato valori comunque superiori a quelli dei familiari.

In realtà questa differenza tra le due sostanze può essere spiegata considerando la diversa modalità di applicazione: il chlorpyrifos viene distribuito per atomizzazione, mentre il  glifosato è irrorato. A parte il fatto che il volume della soluzione distribuita è decisamente maggiore nell’atomizzazione, queste due modalità espongono l’operatore in maniera decisamente diversa.

Secondo gli autori dello studio una spiegazione della presenza di un valore così elevato del tcpyr nelle urine dell’agricoltore anche a distanza di molti mesi dai trattamenti può essere ricercata nella presenza – rilevata all’interno della cabina del trattore – di polvere contaminata da chlorpyrifos. In questo modo l’esposizione all’insetticida è avvenuta per tempi prolungati. Un’evenienza più probabile di quanto si possa ritenere. Infatti solo metà degli agricoltori utilizza trattori con cabine sigillate. E anche in questo caso spesso non viene usato correttamente l’equipaggiamento protettivo.

Dunque – conclude lo studio – sarebbe necessario sensibilizzare gli agricoltori e rafforzare la formazione con nozioni di igiene, fisiopatologia medica e biologia ambientale. Così come sarebbe necessario prevedere un protocollo di esami analitici e di controlli periodici per  prevenire le malattie correlate con l’uso dei pesticidi.

Nel caso specifico di questa indagine, proprio all’utilizzo del chlorpyrifos potrebbero infatti essere collegate due patologie presenti nel capofamiglia: la degenerazione maculare della retina e l’artrite reumatoide. Malattie che, secondo numerosi studi scientifici, sono correlate con l’uso di pesticidi organofosforici, erbicidi e fungicidi.

 

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