Con gli erbicidi gli antibiotici funzionano meno

Una ricerca neozelandese dimostra che gli erbicidi –  glifosato e dicamba – rendono i batteri più resistenti agli antibiotici. E si aprono scenari davvero inquietanti

di Maria Pia Terrosi


Batteri più resistenti agli antibiotici grazie agli erbicidi. Questo è quanto è emerso da una recente ricerca condotta da alcuni scienziati neozelandesi guidati da Jack Heinemann dell’University Canterbury’s School of Biological Sciences e pubblicata su Microbioloy. Lo studio ha sviluppato alcune ricerche condotte nel 2015  dallo  stesso team di scienziati, evidenziando come le formulazioni commerciali di Roundup e Kamba – gli erbicidi  maggiormente  utilizzati nel mondo –  promuovono la resistenza agli antibiotici in alcuni batteri, precisamente Salmonella eterica (causa varie forme di gastroenterite) ed Escherichia coli (causa disturbi come la diarrea o infezioni del tratto urinario come le cistiti). Non solo:  la ricerca dimostra che questa resistenza si determina anche a livelli di impiego  molto inferiori a quelli indicati in etichetta.

Gli  scienziati hanno esaminato i principi attivi  (glifosato,  Dicamba, 2,4-D) e anche gli ingredienti inerti, contenuti negli erbicidi testando cinque diverse tipologie di antibiotici (ampicillina,cloramfenicolo, ciprofloxacin, kanamicina e tetraciclina). In pratica hanno studiato il variare della risposta ai trattamenti antibiotici nei  batteri – salmonella enterica e l’escherichia coli, appunto – prima e dopo averli esposti agli erbicidi. Ne è emerso che i batteri pretrattati con gli erbicidi  necessitano di una maggiore quantità di antibiotico per essere sconfitti.

La ragione sembra risiedere nel fatto che i batteri venendo a contatto con questi  erbicidi attivano gli stessi meccanismi di difesa che mettono in atto in presenza di un antibiotico. Secondo Jack Heinemann, il glifosato attiva alcuni geni normalmente inattivi nei batteri che riducono il numero di “porine” sulla loro membrana esterna, cioè le proteine deputate al trasporto di composti chimici dall’ambiente esterno a quello intrabatterico. E al tempo stesso aumentano il numero delle “pompe di efflusso”, le proteine che facilitano il trasferimento dei composti chimici dall’interno all’esterno della cellula. In questo modo i batteri diventano resistenti anche agli antibiotici: meno porine e più pompe di efflusso sulla superficie batterica significa avere una minore concentrazione di antibiotico al loro interno.

Un problema non da poco. A detta dell’Organizzazione mondiale della sanità, infatti,  la resistenza agli antibiotici rappresenta una delle maggiori minacce alla salute globale. E’ stato calcolato che già oggi negli Usa più di 2 milioni di  persone  ogni anno contraggono infezioni resistenti agli antibiotici e circa 23.000 sono le vittime, mentre in Europa i decessi sono circa 25 mila e la spesa sanitaria pari a 1,5 miliardi di euro, dovuta a ricoveri ospedalieri prolungati o al fallimento delle terapie.  Ma il vero pericolo è quello di avere a che fare con super batteri rispetto ai quali gli antibiotici possono far poco.

Un problema non da poco. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, infatti,  la resistenza agli antibiotici rappresenta una delle maggiori minacce alla salute globale.  Almeno mezzo milione di persone nel mondo ogni anno sono colpite da infezioni resistenti agli antibiotici. E il numero è sicuramente sottostimato visto che i dati diffusi dall’ Oms si riferiscono  a soli  22 Paesi e non considerano  i casi di resistenza a infezione da tubercolosi che vengono forniti separatamente.

 [aggiornata  al 29 gennaio 2018] 

 

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