Ridurre lo spreco alimentare si può. Con produzioni bio e locali

Le produzioni alimentari da filiere corte, biologiche e locali danno un contributo importante a ridurre la perdita e lo spreco di cibo, evitando rilevanti ripercussioni negative sia a livello socio-economico che ambientale. Secondo la FAO, un terzo di tutti i prodotti alimentari a livello mondiale (1,3 miliardi di tonnellate edibili) vengono perduti o sprecati ogni anno lungo l’intera catena di approvvigionamento, per un valore di 750 miliardi di dollari. Un rapporto di Ispra e Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente

di Goffredo Galeazzi


Le produzioni alimentari da filiere corte, biologiche e locali danno un contributo importante a ridurre la perdita e lo spreco di cibo, evitando rilevanti ripercussioni negative sia a livello socio-economico che ambientale. Come evidenzia il recente rapporto “Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”, redatto dall’Ispra e dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, a parità di risorse, la piccola scala agroecologica produce 2-4 volte meno sprechi dell’agroindustria; il consumo totale di risorse è inferiore, è più durevole e fornisce più nutrienti. Nel mondo, la piccola agricoltura contadina produce il 70% del totale della produzione alimentare (l’80% nei paesi in sviluppo), avendo a disposizione solo un quarto delle terre coltivabili. Primi dati mostrano che le filiere corte-biologiche-locali riducono gli sprechi pre-consumo al 5% contro il 30-50% dei sistemi industriali. Inoltre chi si rifornisce solo in reti alternative spreca un decimo di chi usa canali convenzionali, e i sistemi di agricoltura supportata da comunità (CSA) abbattono al 7% gli sprechi contro il 55% prodotto dai sistemi di grande distribuzione organizzata. Infine le prestazioni ambientali e sociali dei sistemi alternativi sono molto migliori.

Infatti i sistemi alimentari sono tra le principali cause del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, della riduzione della disponibilità di acqua e del degrado del terreno. Si tratta di effetti ambientali dovuti soprattutto alle fasi produttive, e che sono quindi amplificati dall’agricoltura intensiva, dalla sovrapproduzione e dalle strutture agroindustriali. La situazione è particolarmente grave in Italia, dove l’impronta ecologica dello spreco copre il 18% del deficit di biocapacità del Paese (la capacità di un ecosistema di erogare servizi naturali) e dove ogni giorno vengono sprecate 960 chilocalorie pro-capite, contro una media globale di 660 kcal. Inoltre lo spreco alimentare è responsabile per oltre il 7% delle emissioni globali di gas serra e se fosse una nazione sarebbe il terzo più grande emettitore dopo Cina e Stati Uniti.

Per contrastare i livelli di spreco, il principale approccio di contrasto è oggi la prevenzione dei rifiuti (efficienza tecnica, recupero, riciclo). Per una riduzione efficace l’impegno va spostato sulla prevenzione strutturale delle eccedenze trasformando i sistemi alimentari sulla base di comunità locali autosostenibili, che cooperano in reti paritarie diversificate.

Tra le proposte operative per limitare lo spreco alimentare, vengono indicati la pianificazione dei modelli e degli acquisti pubblici, l’educazione alimentare, la tutela dell’agricoltura contadina facilitando l’accesso alla terra, l’agroecologia e la tutela dell’agrobiodiversità , il contrasto agli illeciti, le modifiche di filiere industriali, il ruolo dei cittadini.

La strategia- secondo il rapporto ISPRA – deve prevedere una riduzione dei fabbisogni e delle eccedenze e  una produzione agricola ecologica e autosufficiente, invertendo il consumo di suolo agricolo/naturale, sostenendo reti alimentari alternative e sostenibili, aggregando comunità resilienti, riducendo prodotti animali, grassi insalubri, sali, zuccheri.

La riduzione degli sprechi alimentari è una delle priorità individuate nel settembre 2015 dalle Nazioni Unite con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: l’obiettivo è dimezzare entro il 2030 gli sprechi alimentari globali pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e le perdite di cibo lungo le catene di produzione e di fornitura. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) un terzo di tutti i prodotti alimentari a livello mondiale (1,3 miliardi di tonnellate edibili) vengono perduti o sprecati ogni anno lungo l’intera catena di approvvigionamento, per un valore di 750 miliardi di dollari.

La buona notizia è che la perdita di cibo sta cominciando a ottenere l’attenzione che merita. Lo spreco alimentare in Italia è stato per troppo tempo sottostimato, e potrebbe presentare dimensioni anche più preoccupanti senza la legge del settembre 2016 che ha invertito la tendenza. L’Unione Europea sta recependo l’obiettivo indicato dall’ONU così come stanno facendo anche l’Environmental Protection Agency e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. In soli cinque anni il Regno Unito ha tagliato i rifiuti alimentari del 21 per cento, mentre la Danimarca ha ottenuto un’impressionante riduzione del 25 per cento nello stesso periodo. (Il link al rapporto)

 

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