Blood vanilla

La richiesta sempre maggiore di vaniglia mette a rischio l’ecosistema naturale, sociale ed economico del Madagascar, produttore del 75% della vaniglia che si consuma al mondo. Sotto attacco gli agricoltori che rispettano le regole, sempre più a rischio le specie protette.

di Jandira Moreno


L’agricoltura globalizzata e industrializzata inasprisce i conflitti locali, soprattutto in aree di grande povertà. L’ultimo episodio su scala mondo è la guerra sanguinosa tra agricoltori e ladri di vaniglia con tanto di affissioni intimidatorie in pieno giorno e linciaggi in pubblica piazza nelle aree rurali del Madagascar. Si stanno infatti moltiplicando i raid dei ladri della spezia, bande di criminali che requisiscono i raccolti con la violenza.  Nei villaggi remoti dove la vaniglia viene coltivata sono già morte decine di persone, spesso linciate per intimidire gli altri. Tanto che alcuni gruppi di agricoltori hanno provato a reagire organizzandosi a loro volta in gruppi armati. È il prezzo che pagano le due controparti per tenersi stretti il raccolto di questa spezia dai mille usi, che vale dieci volte di più di 5 anni fa ed è arrivata a costare più dell’argento, 600 dollari al chilo, a causa della richiesta sempre maggiore dei Paesi ricchi e di un mercato globale poco regolato che sta mettendo in crisi le aree in cui viene coltivata. Inoltre alla radice dell’ultimo rialzo improvviso c’è il tifone che a marzo del 2017 ha colpito l’isola a sud est del continente africano distruggendo moltissime piantagioni. Da lì è cominciata una vera e propria corsa all’argento vegetale che ha arricchito i contrabbandieri ma anche alcuni agricoltori a spese dell’ecosistema naturale malgascio.

Dietro a questo flusso incontrollato di soldi nell’isola è facile nascondere i proventi delle vendite illegali di palissandro, legno pregiatissimo, ricavato dall’abbattimento di alberi di Dalbergia del parco nazionale Masola – dichiarata area protetta- e venduto di contrabbando a compratori cinesi per il loro mercato di lusso in continua espansione. La non osservanza delle regole da parte degli stessi enti governativi e la diffusa corruzione locale fanno sì che i malviventi restino impuniti e che, al contrario, chi denuncia si ritrovi il sistema giudiziario contro. Come già è successo a Clovis Rafazimalala, cofondatore del gruppo di vigilanza ambientalista Coalition Lampogno, che – dopo aver denunciato il coinvolgimento di alti rappresentati del governo in un traffico illegale di palissandro, un mercato da centinaia di milioni di dollari- non solo si è visto condannare a 5 anni di prigione, ma è riuscito ad uscirne dieci mesi dopo solo grazie alla pressione di Amnesty International. La sua sentenza è sospesa, per ora, ma le minacce continuano. Stessa sorte per Armand Marozafy, ex guardiaparchi di Masola National Park e ora membro di Coalition Lampogno, che nel 2015 ha scontato una pena di cinque mesi per aver denunciato un disboscamento illegale. Le denunce non servono, come confermano altri arresti di giornalisti e membri di gruppi ambientalisti. C’è una mafia che controlla il mercato dei beni naturali, tra cui anche la vaniglia, che si ritiene sia molto vicina al governo locale.

Nel frattempo anche molti agricoltori, che sono arrivati a guadagnare mediamente 400 dollari per un chilo della spezia insanguinata, stanno contribuendo alla deforestazione delle aree protette abbattendo gli alberi per far spazio alle coltivazioni di vaniglia e costruendosi nuove case con il legno ricavato dai disboscamenti illegali.

Una situazione che non accenna a migliorare, al contrario. Lo denuncia Serge Rajaobelina, presidente di Fanamby – ONG che lavora con migliaia di agricoltori che producono vaniglia in maniera sostenibile e tracciabile così da non alimentare il mercato del lavaggio di denaro sporco.  La sua paura è che i coltivatori terrorizzati dalle bande armate alimentino il mercato nero anticipando il momento della raccolta per evitare il rischio di sequestro, mettendo così in pericolo la qualità e la disponibilità del prodotto sul mercato. Per uscire da questo circolo vizioso c’è bisogno di un mercato globale con regole più stringenti che protegga agricoltori e specie protette per non lasciarli alla mercé dei contrabbandieri.

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