I pesticidi colpiscono in primo luogo chi li usa: gli agricoltori

L’Inail registra un boom di malattie professionali in agricoltura, con un aumento dei tumori.Ma da anni si sa che i pesticidi colpiscono pesantemente gli utilizzatori, provocando, fra l’altro, malattie degenerative del sistema nervoso. In Francia già da 2012 il Parkinson è riconosciuto come malattia professionale degli agricoltori. Uno studio certifica che i giardinieri amatoriali che fanno uso di pesticidi hanno maggiori probabilità (il 9% in più) di contrarre il morbo di Parkinson, rispetto a chi non li usa: una percentuale che balza addirittura al 43% in più per gli agricoltori esposti a i firtofarmaci. Un’inchiesta condotta nel 2012 dal procuratore Raffaele Guariniello ha rilevato che agricoltori e calciatori (anch’essi a contatto con prati trattati con erbicidi) sono esposti a un maggiore rischio di ammalarsi di sclerosi laterale amiotrofica (Sla).

di Goffredo Galeazzi


Esiste una casistica delle malattie professionali che colpiscono gli agricoltori? Quali danni procura l’utilizzo di pesticidi nelle persone che li adoperano, dal momento che l’Italia continua ad essere uno dei maggiori utilizzatori di pesticidi ed erbicidi per ettaro in Europa, assorbendo, da sola, il 33% del mercato comunitario: 600 diversi prodotti diffusi su 13 milioni di ettari, il 70% della superficie agricola utilizzata.

Negli anni l’Inail (Istituto nazionale assicurazione sugli infortuni) ha registrato un aumento consistente di malattie professionali nel settore agricolo, senza indicare con precisione quale tipo di malattia colpisca gli agricoltori. Resta il fatto che nel 2014, le denunce di malattie professionali sono state 11.131, quasi il doppio rispetto al 2010 (6.392) e i dati incompleti del 2016 vedono già superata quota 12.500 mila, i valori più alti mai registrati in agricoltura in 40 anni di rilevazione. Nel 2011 venivano denunciati 7.500 casi di tumore collegati al lavoro nel settore agricolo, in aumento rispetto ai 5.700 casi di un anno prima e ai 3.500 del 2007. E i tassi di incidenza delle malattie professionali risultano notevolmente superiori per le donne.

È l’Inail a elencare i principali fattori di rischio del settore agricolo: nell’ordine, gli agenti chimici, l’esposizione a polveri, gli agenti di natura biologica mentre tra le patologie da materiali vi sono le affezioni acute e croniche derivate dall’uso di pesticidi e dalla manipolazione di concimi sia naturali che di sintesi.

Una ricerca per la tutela della salute e sicurezza svolta sul campo dall’Inail rileva come i lavoratori agricoli nelle serre, comparto produttivo caratterizzato dall’utilizzo di un elevato numero di prodotti fitosanitari, sono più esposti di altri operatori alle conseguenze del loro utilizzo, soprattutto – secondo lo studio – per imperizia e superficialità. Sul banco degli accusati, il comportamento degli utilizzatori, che incorrono in incidenti o contaminazioni per eccessiva confidenza con i prodotti impiegati, per il mancato rispetto delle dosi consigliate oppure perché talvolta si trascura di appurare se la zona da trattare è vicina a case o corsi d’acqua e, a trattamento avvenuto, non sempre si rispettano i tempi di rientro e di carenza.

In realtà, ci sono studi che provano ampiamente la relazione tra malattie neurodegenerative gravi e uso professionale dei pesticidi così come il legame con l’insorgere di tumori vari. Per Isde Italia (l’associazione medici per l’ambiente) la relazione fra pesticidi e tumori umani, in particolare linfomi, mielomi e leucemie, è stata ormai dimostrata in modo inequivocabile per i lavoratori esposti: “L’esposizione cronica a pesticidi nella categoria professionale degli agricoltori è alla base di un aumento evidente del rischio di sviluppare alterazioni di svariati organi e sistemi dell’organismo umano quali quello nervoso, endocrino, immunitario, riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio, favorendo in particolare cancro, diabete, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative, cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, disfunzioni metaboliche ed ormonali”.

La connessione tra pesticidi e disturbi cognitivi è certificata da una mole di lavori scientifici. Una ricerca dell’Inserm (National Institute of Health and Medical Research), presentata nel maggio 2016 a Parigi, ha accertato che i viticoltori, in particolare, possono subire una perdita delle capacità cognitive e disabilità cerebrale a causa del contatto con dosi anche limitate di pesticidi. L’equipe ha monitorato un campione di 929 agricoltori della Gironda, verificando che ben il 50% dei vigneron seguiti dallo studio ha manifestato effetti significativi del deterioramento delle funzioni cerebrali. Ancora uno studio francese certifica che l’utilizzo agricolo dei pesticidi moltiplica il rischio di contrarre il Parkinson per 5,6 volte e quello di sviluppare l’Alzheimer di 2,4 volte, rispetto alla popolazione non direttamente esposta a pesticidi. Nel 2011 l’Istituto Nazionale americano della sanita’ (NIH) ha stabilito che le persone esposte a due pesticidi, il rotenone e il paraquat, corrano due volte e mezzo in più il rischio di contrarre il Parkinson.

Uno studio finanziato dalla Comunità Europea e pubblicato sulla rivista New Scientist dimostra inoltre che i giardinieri amatoriali che fanno uso di pesticidi hanno maggiori probabilità (il 9% in più) di contrarre il morbo di Parkinson, rispetto a coloro che non usano tali sostanze, percentuale che balza addirittura al 43% in più per gli agricoltori professionali esposti a pesticidi.

Le ricerche hanno cambiato le leggi. In Francia già nel 2012 è entrato in vigore un decreto che riconosce il Parkinson come malattia professionale degli agricoltori e stabilisce esplicitamente un legame di causalità tra questa patologia – seconda malattia neurodegenerativa in Francia dopo l’Alzheimer – e l’uso dei pesticidi. Contemporaneamente, sempre oltralpe, sono partite le azioni legali nei confronti dei produttori.  Nel 2012 un cerealicoltore della Charente, Paul François, ha vinto una causa intentata contro Monsanto. La multinazionale è stata giudicata responsabile dell’intossicazione dell’agricoltore a causa dei vapori di un suo erbicida, il Lasso, ritirato dal mercato in Francia nel 2007, mentre la sua pericolosità era nota da più di venti anni. E sempre nel 2012 un’altra decisione, quella della Commissione per l’indennizzo delle vittime di reati (Civi) di Epinal, ha condannato lo Stato a risarcire un agricoltore cerealicolo di Meurthe-et-Moselle che soffriva di una sindrome mieloproliferativa. Riconosciuta per la prima volta come malattia professionale, la patologia è stata quindi associata dalla Civi all’uso di prodotti contenenti soprattutto benzene.

E in Italia a che punto siamo? Un’inchiesta condotta nel 2012 sulle evidenze dell’Osservatorio sui tumori e sulle malattie professionali coordinato dal procuratore Raffaele Guariniello ha rilevato che agricoltori e calciatori sono esposti a un maggiore rischio di ammalarsi di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) perché sono ogni giorno a contatto con pesticidi e antiparassitari: insomma basta l’erba di un campo sportivo. La Sla ha colpito solo in Piemonte, nel 2011, 123 contadini, di cui ben 20 giovani, sotto i 30 anni. E i casi sono ancora aumentati nel 2012-2013. Dallo studio è emerso come siano aumentati i casi di malattia proprio in quelle zone della regione in cui lo sfruttamento agricolo è ancora protagonista dell’economia locale.

La prima indagine di Guariniello sulla Sla si è però concentrata sull’incidenza elevatissima della malattia tra i giocatori di calcio, con uno studio affidato al medico torinese, tra i massimi esperti della malattia in Italia, Adriano Chiò, neurologo ed epidemiologo dell’Università di Torino. La perizia di Chiò è stata condotta su un campione di 7.325 calciatori professionisti italiani che hanno giocato in serie A e B tra il 1970 e il 2001. Risultato: il rischio di ammalarsi di Sla era 7 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Analogamente uno studio, del 2007, su 3.891 giocatori della National Football League (Nfl) degli Usa ha evidenziato fra questi sportivi un’incidenza di Sla addirittura 40 volte più alta del normale.

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